sabato 11 giugno 2011

Racconti gay: Vicino di casa

Racconti gay: Vicino di casa
“L’uomo della porta accanto”: un modo di dire, l’espressione che usiamo per indicare una persona semplice, che ci vive vicino senza che quasi ce ne accorgiamo, ma invece, per noi, talvolta, non è proprio una fra tante. E’ sorprendente come situazioni di vita quotidiana, banali momenti delle nostre giornate possano appiccare ed alimentare un fuoco che continua a bruciare invisibile e silenzioso, soffocato sotto una coltre di cenere, ma sempre pronto a divampare in un incendio senza limiti.


La mia giovane età mi rende facile preda di questi subdoli tepori e così anche uno sguardo furtivo può servire come primo fotogramma di un film fatto di fantasie segrete ma ardenti.
Da sempre il fulcro di queste fantasie, per me, è il mio vicino di casa, che conosco fin da quando ero bambino: Salvatore non è un uomo di grande bellezza, ma piacente, sulla quarantina. Il suo fisico porta un po’ il peso dell’età non più giovanissima e della vita di padre di famiglia ma, con i muscoli ancora in evidenza, racconta anche della sua passione per il calcio. Non molto alto, ha una corporatura lievemente massiccia, quella giusta via di mezzo tra il fisico tonico di uno sportivo e la tipica figura robusta e possente dell’uomo del sud, moro mediterraneo; porta i capelli quasi completamente rasati e un paio di occhiali leggeri e sottili, che stanno lì, come ad addolcire un po’ i lineamenti del suo viso. Tratteggiata in questo modo, la descrizione è quella di un vero maschio e questo è esattamente ciò che Salvatore rappresenta.


La sera lo vedo rientrare dalle partite di calcetto, coi pantaloncini aderenti, le scarpe sportive e la borsa a tracolla e, qualche volta, ci incontriamo in ascensore; io gioco con le chiavi di casa per spezzare il silenzio, mentre lui mi rivolge qualche laconica domanda, sempre con aria da duro. La porta di casa mia guarda esattamente verso la sua, così spesso, richiamato dal suono della sua voce profonda dal tono deciso, segnata da uno spiccato accento gergale, avvicino l’occhio allo spioncino per osservare i suoi gesti e poter ammirare, proprio in quei movimenti, tutta la sua mascolinità.

Circa una settimana fa, sono rientrato in casa; non c’era nessuno oltre me, stavo per aprire i libri e cominciare il mio abituale pomeriggio di studio quando, ad un tratto, sento suonare alla porta. Sbuffai: avevo appena iniziato a mettermi comodo, avevo levato il maglione, allentato la camicia e slacciato la cintura e i jeans, molto aderenti. Guardai fuori e scoprii che a suonare era Salvatore, che adesso era lì, in piedi, davanti alla porta, ad aspettare. Pensai che fosse il caso di ricompormi, ma poi, preso dall’istinto, aprii così come mi trovavo.
Lui aveva un’aria sofferente ma sorrideva un pò e, conoscendolo, ciò mi risultava abbastanza insolito. Pensando che fosse venuto a chiedere qualcosa a mia madre, come spesso capita, gli dissi: “Mamma non c’è: se vuoi dire a me…”, e lui “Ah, no, è che mi è preso il mal di schiena e volevo chiederle di farmi l’antinfiammatorio”. Pensai di lasciar morire subito la cosa dicendo che doveva aspettare che mia madre rientrasse, ma invece una frase sfuggì a quella specie di contegno, o dovrei dire soggezione, che cerco sempre di mantenere di fronte a lui: “Colpa delle partite di calcetto, eh?”, mi rispose: “Eh si cazzo, mi sono rovinato”, “Vabbè capita” gli ho detto “comunque sono un futuro medico, un’intramuscolare credo di riuscire a farla!”. Quel sorriso, che vedevo accennato all’inizio, adesso era del tutto sbocciato e mi dava finalmente modo di ammirare le sue labbra carnose incorniciare i denti bianchi in quell’espressione che non gli avevo mai visto assumere: “Ah, ecco! Non te lo volevo chiedere per non metterti in imbarazzo: non sapevo se ve le hanno già insegnate le punture!”, ed io “Beh dai, spero solo di non farti male”, “Tanto, più male di quello che ho”, poi si girò e disse “Dai, vieni”, facendomi cenno di seguirlo. Entrai nel salone e mi fermai all’ingresso mentre lui accendeva le luci, poi tornò indietro e chiuse la porta d’entrata.


Mi domandavo il perché l’avesse fatto: in fondo, ci avrei messo un paio di minuti. Mi dissi che era solo un caso e che non dovevo cominciare a farmi i soliti film. A questo punto, sempre con quell’espressione, che adesso mi appariva quasi ammiccante: “Dottore, dove mi devo sdraiare?”. Io risposi con una risata nervosa: era veramente strana quella confidenza, che non c’era mai stata tra noi e poi aggiunsi “Tua moglie, i bambini dove sono?”. Avrei voluto subito rimangiarmi quelle parole: sapevo che erano del tutto fuori luogo in quel momento, la mia era una domanda precisa, quasi interessata, e temevo l’avrebbe innervosito, invece disse “Sono fuori: vedi che mi lasciano solo quando sto male! Per fortuna c’è qualcuno che mi cura”, “Eh si, se no che medico sarei! Dai, facciamo quest’iniezione”. Non sapevo il perché ma l’ansia mi stava assalendo; in realtà ciò che mi rendeva nervoso era quella situazione insolita in cui non sapevo come comportarmi: Salvatore mi ha sempre suscitato forti sensazioni e la mia paura era che potessero venire fuori in qualche modo e mi spingessero a dire o fare qualche stronzata. Lui, pensando che avessi fretta, mi disse: “Ok, su, mi stendo sul letto, facciamo in un attimo”, “Ma si, non ti preoccupare, studio sempre sui libri, un po’ di pratica non mi farà male!”. Sorridemmo entrambi. “Ho già preparato i medicinali e la siringa in bagno: fai tu.” disse prima di entrare in camera da letto. Io mi diressi verso il bagno, entrai, preparai la siringa, mi lavai le mani e lo raggiunsi: lo vidi sdraiato sul letto, prono, con le braccia piegate e le mani sotto il viso; aveva tolto, stranamente, anche la felpa, così potevo vedere l’interezza del suo dorso, che terminava nel rilievo sublime delle sue chiappe “Mi raccomando, trattami bene”, disse. Feci una pausa: avrei voluto rispondergli che non aspettavo altro che “trattarlo bene” (ma a modo mio) e invece, ovviamente, mi limitai a dire “Non preoccuparti, farò del mio meglio”; disinfettai la parte e poi infilai l’ago con mano sicura.



Spinsi lentamente in basso lo stantuffo sperando che quel momento durasse in eterno: ora finalmente avevo una scusa per ammirare la tale ricchezza del suo fondoschiena, quello che avevo sempre notato sotto i pantaloncini aderenti e che ora era lì davanti a me, nudo per di più. Lui non fece una piega, poi quando ebbi finito disse “Minchia, sei bravo!”, ed io “Ma dai, è una cazzata, non ci vuole niente”: cercavo, imbarazzato, di sminuire il complimento. Strofinai il cotone imbevuto di alcool sul punto dell’iniezione e, mentre lo facevo, rallentai improvvisamente il movimento, che divenne pian piano circolare, mi soffermai per lunghi secondi e poi, senza rendermi conto di cosa stavo facendo poggiai il palmo e accarezzai le chiappe di Salvatore. Eccola, la stronzata che temevo. Non avevo saputo resistere alla vista di quel sedere maschile sodo, liscio: sotto la pelle si intravedeva il tono dei glutei, rafforzati dall’attività fisica, e nell’insieme quella forma tondeggiante regolare e così ben sostenuta era un richiamo a cui non potevo sottrarmi. Lui non proferì parola, mentre la mia mano ebbe uno scatto senza, però, ritrarsi. Vedendo che non mi aveva fermato, continuai a palpare, prima timidamente, poi con l’intera mano, con i polpastrelli, poi anche con l’altra mano. Continuai per un minuto, lavorando quel culo fantastico come se stessi suonando uno strumento melodioso, con tocco leggero ma deciso, finchè vidi il suo corpo guizzare: si girò e si mise disteso sulla schiena e, non appena lo fece, non potei fare a meno di notare quella grossa sporgenza sotto i suoi boxer aderenti: Salvatore era vistosamente eccitato. A questa vista sentii un brivido dentro, non stavo nella pelle ed il mio cazzo, all’improvviso non stava più nei pantaloni.


Mi fermai, lo guardai con aria interrogativa, non sapevo cosa fare. Senza fiatare, lui mi prese da una mano e mi strattonò, facendomi balzare sul lettone matrimoniale su cui si trovava, poi mi afferrò la testa con entrambe le sue mani possenti e mi tirò vicino al suo petto, villoso al punto giusto, massiccio ma allo stesso tempo tonico, coperto dalla sua pelle scura. A quel punto il sangue mi bolliva nelle vene, sapevo che non avrei potuto più frenare il desiderio e, tirato un lungo sospiro, mi gettai sui suoi capezzoli iniziando a succhiarli. Mentre ci giocavo, carezzandoli con la punta umida della lingua e poi prendendoli fra i denti e fra le labbra, lui mi accarezzava la testa ed io mi sbottonavo la camicia per poi, infine, toglierla del tutto. Cominciai poco dopo a scendere lungo il torace, sempre stuzzicandolo con la lingua tiepida, mi soffermai sulla zona dei muscoli addominali, sull’ombelico, mentre con le mani accarezzavo il suo petto e le spalle larghe. Lentamente scesi verso quel gonfiore in mezzo alle sue cosce, che ora era davvero cresciuto e scalpitava sotto la stoffa scura del suo intimo. Afferrai con i denti il bordo dei boxer e con un movimento lentissimo li portai giù, cominciando a intravedere l’enormità del suo sesso. A un tratto il cazzo di Salvatore balzò fuori con prepotenza, come una molla, mi sbattè sul viso. Era imponente, turgido, grosso, pulsante. Levai completamente i boxer aiutandomi con le mani e così potei leccare per lunghi istanti il suo interno coscia e finalmente fui in grado di accedere alle sue palle grandi e gonfie, indurite dalla forza del desiderio: iniziai a baciarle, a leccarle con tutta la lingua, mentre lui mi fissava in ogni mio movimento.


Ero lì, prostrato davanti all’oggetto del mio desiderio, lui in quel momento era il mio sovrano e col suo scettro mi dominava completamente: niente mi avrebbe fermato dal rendere il giusto onore a quel suo cazzo enorme, perfetto. Pian piano cominciai a baciare anche la verga, che svettava adesso al massimo del suo splendore, ormai scappellata, con il glande che era umido e lucente. Leccai intensamente l’asta per tutta la sua lunghezza e poi, repentinamente, in un solo movimento, presi tutta nella bocca la cappella, che finalmente affondava in mezzo alle mie labbra protese in fuori per accogliere tutta quella magnificenza. Lui divaricò le gambe per facilitarmi il lavoro e si sistemò con le mani dietro la testa, mettendosi comodo per godersi lo spettacolo della succhiata che avevo iniziato a fargli. Così fu: lo spompinavo con tutta l’anima, mentre la saliva colava fuori dai bordi della mia bocca e scivolava giù lungo il suo membro che intanto era abbracciato dai lembi della mia bocca, completamente. Mi soffermavo con la lingua sui bordi del glande, poi sul frenulo teso, e ancora, aiutandomi con la mano, strofinavo il suo cazzo su tutta la mia faccia, per poi portarlo di nuovo alla bocca, facendolo sbattere fra le mie labbra, velocemente. Ancora un affondo, ancora il suo pisello gonfio e duro dentro la mia bocca: solo le palle restavano fuori, ma io, ingordo, avrei preso anche quelle. Continuai a pompare senza sosta per quasi un quarto d’ora, gustandomi tutto, cambiando spesso il ritmo, e tornando, di tanto in tanto, ai suoi coglioni duri, mentre con le mani un po’ mi aiutavo segandolo e un po’ accarezzavo il petto che era teso nella posizione in cui lui si trovava, o le gambe rese così muscolose dalle tante partite di calcio. Salvatore mi fissava, con aria ben più che compiaciuta, con un sorrisetto soddisfatto stampato su quella arrapante faccia da duro; ogni tanto socchiudeva gli occhi ma poi li riapriva per non perdersi nemmeno un secondo di quello spettacolo.



Anche io lo guardavo, quando non ero completamente impegnato ad adorare il suo membro virile, e cercavo nel suo sguardo quell’appagamento, quella passione che così tanto, in tutti questi anni, avevo desiderato dargli e che lui, adesso, altrettanto desiderava ricevere da me.
Quando fu carico e scoppiante di desiderio cominciò a tenermi ben ferma la testa e a comandare lui, scopandomi letteralmente la bocca: con i movimenti del bacino era lui che questa volta portava il cazzo dentro e fuori, fuori e dentro la calda cavità, rapido, fino in gola, senza curarsi del fatto che, di tanto in tanto, sembravo perdere il fiato: erano proprio quelli, anzi, i momenti in cui spingeva più a fondo. A un tratto, continuando a non pronunciare nemmeno una parola, mi staccò dal suo cazzo, come un padre che toglie il ciuccio al figlio, mi girò, prendendomi con tutta la forza e mettendomi supino: adesso era sopra di me e mi dominava del tutto. Mi levò i jeans, poi i boxer e anche il mio cazzo potè venire fuori duro come non mai, gonfio dell’eccitazione di quel momento che tanto avevo atteso. Mi sollevò le gambe, allargandole, si chinò e, ad un tratto, sentii la sua lingua sull’orifizio del mio ano: emisi un gemito. Subito dopo ci appoggiò tutta la bocca, quasi come in un succhiotto, mentre la lingua serpeggiava proprio lì in mezzo alle mie chiappe facendomi vibrare di piacere, e riempiendomi il buchetto, ben depilato, di calda saliva. Mentre lui faceva questo io mi ero preso in mano il pisello e mi masturbavo allo stesso ritmo dei movimenti della sua lingua. Ad un tratto smise e si sollevò, mi guardò intensamente per qualche secondo, poi, senza avvertirmi, mi afferrò dalle natiche, mi spinse a se, si caricò le mie gambe sulle spalle possenti, si prese in mano la verga e cominciò a centrare il mio buco. Non dovette faticare molto per trovarlo, dato che era già ben aperto dai tanti uomini che mi avevano posseduto prima di lui e, lubrificato dalla sua lingua, non aspettava altro che quell’enorme bastone. Mentre sentivo la sua nerchia dura pulsare, stavolta appoggiata al buco del mio culo, mi prese la testa da dietro e mi sorprese baciandomi voracemente.



La sua lingua si muoveva repentina, esplorando tutta la mia bocca, quasi come si volesse fondere con essa, mentre le sue labbra si stavano ferocemente impossessando delle mie, anche con piccoli morsi. Quel bacio non accennava a fermarsi e, preso in quella foga, non ebbi neanche modo di accorgermi che lui, a un certo punto, improvvisamente, con un unico colpo di reni, senza pietà, si impossessava definitivamente di me. Quando lo sentii tutto dentro, fui assalito da un brivido profondissimo, che venne fuori in un gemito intenso, colmo di piacere: ero suo. A questo punto Salvatore si reggeva sulle braccia, proprio come se stesse facendo le flessioni agli allenamenti, cosicché i muscoli degli arti superiori quasi scoppiavano sotto la pelle, tanto erano tesi e mi guardava dritto negli occhi, mentre il suo bacino cominciava un movimento ritmico, ma lento. Ogni affondo, un gemito, un sussulto; mi stava scopando come nessuno, la penetrazione era profondissima, tanto era lunga la sua verga. Via via che il mio buco si dilatava, il ritmo accelerava e i suoi colpi si facevano sempre più decisi e ben assestati, mi facevano trasalire. Per la prima volta potevo sentire la carne viva di un cazzo dentro di me, senza che ci fosse di mezzo un preservativo, potevo sentirlo scivolare fino in fondo lubrificato dai suoi stessi umori, potevo sentire il suo calore. Cominciai a gemere come una troia, tiravo dei respiri profondi e li prolungavo in lamenti di piacere affinché lui potesse capire che ero suo e che nessuno, prima d’allora, mi aveva preso in quel modo; lui, compiaciuto, si divertiva a giocare, a scoparmi sempre con un ritmo diverso, facendo uscire ogni tanto il membro per poi rientrare dentro di me con un movimento rotatorio, affinché potessi sentire quella mazza enorme in tutte le angolazioni.




Eravamo sudatissimi, io continuavo a segarmi, scoppiavo di piacere, lui non mi staccava gli occhi di dosso e neanche io smettevo un attimo di cercare nel suo sguardo fisso quell’aria da porco insaziabile. A un certo punto raccolsi tutta la forza dentro me e, rimanendo incastrato a lui come già ero, riuscii a fargli cambiare posizione con un balzo secco: ero sopra di lui e lo stavo cavalcando. Ero impalato alla grande dalla sua nerchia, ma conducevo io il gioco; gli presi le mani, e cominciai a muovere i glutei, mentre tutto il resto del mio corpo ero fermo, lo facevo lentamente ma in modo che la sua asta scorresse in dentro e in fuori per tutta la sua lunghezza, continuando in questa maniera per diversi minuti. Poi, cambiai ritmo: cominciai a muovermi rapidamente, questa volta saltando con tutto il corpo, mentre le mie mani accarezzavano il petto di Salvatore, che aveva gli occhi socchiusi e le braccia completamente allargate, si sentiva forte il rumore delle mie chiappe sbattere sulle sue cosce; poi lui mi prese proprio per le natiche, e cercava di accompagnarmi in quel movimento spasmodico, come se non gli bastasse avere già tutto me stesso e volesse spingere la sua verga dentro fino al mio stomaco. Chinai la testa all’indietro sospirando forte, e continuavo a masturbarmi, ormai ero al culmine del piacere: vedere Salvatore lì disteso, godere come un porco, con le mani sempre appoggiate alle mie chiappe che stringevano, sentirlo dentro me con quella sua asta, che mi penetrava profondamente ad ogni colpo, mi fece esplodere.



Degli schizzi di liquido caldo e denso cominciarono a sgorgare dalla punta del mio cazzo e si sparsero sul suo addome, mentre dalla mia bocca usciva un urlo strozzato. Rimasi fermo per qualche secondo, dopo mi piegai su di lui e lo baciai, profondamente, con tutta la passione possibile e lui ricambiò questo slancio con grande ardore, poi mi staccai da lui e scesi giù verso il suo membro, che era ormai rosso e gonfio come non mai, bagnato dei miei e dei suoi umori, che aspettava soltanto di gettare fuori tutto il nettare custodito in quelle palle grosse e turgide. Lo presi tutto in bocca, fino in fondo, mentre la mia lingua accarezzava la cappella, poi cominciai a muovere su e giù le mia labbra lungo tutta l’asta, aiutandomi con la mano, alternando accelerazioni e rallentamenti. Quando infine, la mia bocca scese per l’ultima volta giù, arrivando quasi fino alle palle, sentii una specie di contrazione, subito seguita da un gemito profondissimo di Salvatore, che mi sembrò il ruggito di un leone e, subito dopo, fui inondato da una cascata di crema calda, che sentivo spruzzata sul mio palato, colare giù sulla lingua: non mi persi nulla del suo sapore dolce e non ne feci venire fuori nemmeno una goccia. Poi mi sollevai lentamente lasciando con delicatezza scorrere il cazzo fuori dalla mia bocca, avvicinai il viso al suo, guardandolo negli occhi, dischiusi leggermente le labbra e gli feci vedere come mi aveva riempito del suo seme e mi aveva fatto suo, nel più perverso dei modi, quindi, in un colpo solo, inghiottii tutto, facendogli sentire chiaro e forte il rumore della deglutizione. Poi mi passai la mano sulla bocca, come per volerla pulire, mi alzai dal letto e cominciai a rivestirmi. Lui era fermo, come lo avevo lasciato, mi seguiva con lo sguardo, uno sguardo perso, attonito. Quando ebbi finito di agganciare anche l’ultimo bottone della patta dei miei jeans gli dissi “Visto come ti ho trattato bene?”. Non rispose, anzi, lo fece con lo sguardo. Poi mi girai, uscii dalla stanza a passo veloce, ripercorsi a ritroso il corridoio e lasciai la casa.
Ci siamo incontrati due giorni fa, ancora una volta in ascensore; dopo il solito, lungo, silenzio lui ha allungato il braccio e mi ha palpato il sedere, stretto sotto i jeans attillati. Io ho appoggiato la mia mano sulla sua ma, con sua grande sorpresa, per scansarla; poi l’ho guardato negli occhi intensamente e, senza neanche fiatare, sono riuscito ad esprimere, con lo sguardo, tutto ciò che volevo dirgli. Lui ha fatto un cenno di assenso con la testa. Poi siamo usciti dall’ascensore e abbiamo aperto la porta dei rispettivi appartamenti; nel rientrare ci siamo guardati, un’ultima volta.




In ascensore avrei voluto dirgli che qual pomeriggio lui ha realizzato una ad una e addirittura superato tutte le fantasie segrete che mi avevano accompagnato in tanti momenti di intimo piacere e che, di sicuro, avrei ricordato quella scopata per tutta la vita; ma avrei detto anche che certe cose non prevedono repliche e che è bello ed eccitante tenere in mente un momento di follia proibita, solo se questa non si trasforma, poi, in una squallida abitudine.