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venerdì 12 agosto 2011
Racconti gay porno gratis: Nunc est bibendum. Tempo di bere
Tremavo come una foglia, nudo sotto l'assalto dell'aria fredda della notte. Aprii a fatica gli occhi. Era il risveglio più brutto della mia vita. Mi guardai attorno e vidi Raedwald, il mio amico e membro della mia stessa tribù. Come me era legato a un palo, nel mezzo dell'accampamento romano. Mi faceva male il corpo intero, tutto sporco di sangue ormai secco. Per fortuna non avevo ferite serie, solo qualche taglio e qualche livido. Raedwald era in uno stato peggiore. Il suo corpo penzolava come privo di vita, le sue gambe erano ricoperte da sangue fresco. Un soldato romano ci passò davanti. Mi sputò in faccia. Poi si mise davanti a Raedwald e si alzò la tunica. E iniziò a pisciargli sulle ferite ancora aperte. Raedwald si contorse per il dolore.
“Bastardo!” gli gridai.
La sua grossa mano mi colpì il volto.
“Zitto, barbaro schifoso!” Con queste parole se ne andò.
* * *
Io non odiavo i Romani. Ho sempre pensato che loro potrebbero insegnare molte cose al nostro popolo, esattamente come il nostro popolo potrebbe insegnare loro molte altre. L'idea di attaccare quel soldato romano che nuotava del lago non era stata mia. Era stata di Raedwald. Io e lui stavamo pescando quando notammo quel soldato togliersi l'armatura e poi gettarsi in acqua indossando solo un vestito di lino.
Io e Raedwald avevamo compiuto da poco sedici anni. Solo la settimana prima eravamo stati sottoposti alla cerimonia di iniziazione.
Raedwald è sempre stato un po' troppo avventato. E così quel giorno mi disse che voleva catturare il romano e, senza neppure aspettare una mia replica, si gettò in acqua. Io cercai di fermarlo. Secondo me, non c'era alcun motivo per il quale avremmo dovuto far del male a quell'uomo. Il romano tornò in superficie dopo un tuffo. E subito Raedwald lo attaccò. Il romano fu preso alla sprovvista. Ma gli ci vollero solo pochi secondi per riprendersi, lanciare un alto urlo e sbarazzarsi di Raedwald. Il romano tornò di corsa alla riva per recuperare il proprio pugnale. Corsi verso di lui per fermarlo. E proprio in quel momento altri cinque romani spuntarono dal bosco. Non potevamo certo tener testa a quegli uomini così ben addestrati. Ebbero subito la meglio. Ci legarono. Raedwald aveva ricevuto qualche pugnalata nelle gambe e nelle braccia. Sanguinava copiosamente. Ci portarono al loro accampamento. Ci strapparono di dosso i vestiti. E ci legarono a quei pali.
* * *
Erano passato più di dodici ore. Ero tormentato dalla sete, dalla fame, dal dolore provocato dalle corde che iniziavano a tagliarmi la pelle. E pensare che io non odiavo i Romani. Anzi, mi piacevano, mi piaceva vederli sfilare in parata, con quei corti gonnellini di cuoio, le armature scintillanti e le gambe muscolose. Se solo si potesse riavvolgere il filo del tempo...
* * *
Dovevo essermi addormentato di nuovo. Il sole ora era già sorto e alcuni soldati erano al lavoro. Ormai da una settimana ero entrato ufficialmente nel mondo degli uomini. Ma ero spaventato e volevo piangere. Cosa ne sarebbe stato di noi? E cosa sarebbe successo se nella nostra tribù si fossero resi conto che eravamo prigionieri dei Romani? Pregai gli Dei di consigliar loro azioni assennate. Erano già due anni che il nostro popolo e i Romani erano in pace.
Due soldati si avvicinarono a noi.
“Raedwald, svegliati!” gli gridai.
Il mio amico aprì gli occhi e sollevò la testa. Si vedeva chiaramente che il dolore lo stava divorando.
“Slegali e lavali” disse uno dei romani. L'altro tagliò le corde. Raedwald stramazzò al suolo.
Il soldato gli osservò le ferite. “Bisogna almeno pulirle” disse e chiamò altri due, che sollevarono Raedwald e lo portarono via.
Quando liberarono anche me dalle corde, mi sforzai di rimanere in piedi, anche se avevo tutti gli arti completamente intorpiditi. Cercai di coprirmi con le mani, ma i soldati mi presero per le braccia e mi scortarono fino ad una delle baracche. Una volta dentro, mi fecero sedere contro il muro. Raedwald era steso per terra vicino a me.
“Non muovetevi!” ci gridò un soldato prima di andar via.
“Raedwald, tutto bene?” gli chiesi.
“Sì, sono solo stanco morto. Cosa pensi che ci faranno?”
“Non lo so.”
“Cazzo, mi dispiace tanto!”
Il soldato tornò con due secchi, seguito da un uomo più anziano. Quest'ultimo si sedette a esaminare le ferite di Raedwald.
“Nulla di troppo grave” disse. Poi bagnò un pezzo di stoffa per pulirgli le ferite.
Il soldato mi disse di mettermi in piedi contro il muro. Quando lo feci, sollevò il secchio e mi gettò addosso l'acqua fredda. E per il trono di Odino, era fredda davvero! Iniziai a tremare, ma devo ammettere che mi fece sentire meglio. Poi il soldato mi gettò un pezzo di stoffa e mi disse di asciugarmi. Le ferite che avevo si erano già rimarginate. E finalmente riuscii a togliermi di dosso anche il sangue secco.
“Faresti bene a rimanertene qui steso per un po'” disse il medico a Raedwald. Poi se ne andò via con il soldato.
Poco dopo arrivò un nuovo soldato. Mi punto il dito contro. “Ehi, tu. Prenditi cura del mio cavallo.”
Lo seguii fino alle stalle. Era davvero strano camminare nudo all'aperto. Il soldato procedeva a grandi passi e quasi dovevo correre per stargli dietro, col cazzo che mi dondolava qua e là. Una volta entrati nelle stalle, il soldato si tolse l'elmo. Io mi avvicinai al cavallo per togliergli la sella.
“Prima aiuti me. Toglimi l'armatura” ordinò il romano. Sollevò le braccia. Vidi che su ogni lato c'erano due fibbie e per me raggiungerle non era molto facile, tanto che dovetti allungarmi sulla punta dei piedi per aprirle. L'odore di sudore era molto intenso.
“Sono stato in sella tutta notte” disse lui. Io per guardarlo in viso dovevo alzare lo sguardo: la mia testa gli arriva solo al petto.
Quando gli ebbi tolto l'armatura, l'odore di sudore si fece ancora più intenso. La tunica che indossava sotto era completamente fradicia. Feci un passo indietro. Lui mi fermò mettendomi una mano dietro la nuca.
“Non così in fretta, ragazzo” sogghignò: “Non sai come ci si sente dopo aver cavalcato per una notte intera?”
Scossi la testa.
Lui mi spinse in giù. “In ginocchio!”
Crollai in ginocchio. Alzai lo sguardo verso di lui, terrorizzato all'idea di quello che avrebbe potuto farmi. Allungò le mani dietro di sé. Il gonnellino di cuoio cadde ai suoi piedi. Si sfilò la tunica sudata. Ora indossava solo l'abito di lino. Proprio di fronte ai miei occhi mi ritrovai il suo grosso pacco. Mi prese per la testa e a forza portò le mie labbra contro quella stoffa madida. L'odore mi invase la narici, era così forte da farmi girare la testa: sudore, piscio, una traccia di cuoio. Mi spingeva la testa contro di sé, le mie labbra ed il mio naso contro il suo grembo. Sentivo il suo cazzo indurirsi mentre lo strofinava a forza contro di me.
“Sì, succhiami!” gridò.
Devo essere onesto. Anche il mio cazzo stava diventando duro. Feci scorrere la mia lingua lungo il profilo della sua minchia, fino a raggiungere la punta. Il soldato iniziò a gemere per il piacere.
Si tolse fuori il cazzo e le palle pelose. Tenendomi la testa per la nuca, mi spinse sul suo organo. La sua grossa cappella si aprì un varco tra le mie labbra. Dovetti spalancare la bocca, talmente era largo e lungo. Tenendo le mia mani sulle sue gambe tentai di impedirgli di avanzare ancora nella mia bocca, ma lui mi tenne ferma la testa con le mani e spinse il suo bacino in avanti.
La minchia colpì il fondo della mia gola, togliendomi il respiro. Mi vennero conati di vomito, ma riuscii a resistere.
Il soldato scoppiò a ridere fragorosamente. Si tirò un po' indietro, ma subito dopo mi spinse dentro ancora una volta tutto il suo cazzo. Le sue palle mi colpirono il mento. Altri conati. Ma questa volta non sembrava intenzionato a lasciarmi libero. Feci alcuni profondi respiri con il naso. E mi dissi che prima sarei riuscito a farlo schizzare, meglio sarebbe stato. Ricordando la notte dell'iniziazione, iniziai a far scorrere la mia lingua sulla sua asta e sulla sua cappella, mentre con una mano gli spremevo delicatamente le palle.
“Visto? Ce la puoi fare!” esclamò. Poi si piegò e mi fece sollevare un po' il culo. Quella posizione, con il suo fallo in bocca e il culo per aria, fu per me un immenso sollievo, perché in questo modo il suo cazzo non riusciva ad affondare fino alla mia gola.
Ma poi sentii le due grandi mani sul mio culo. Mi spalancò le chiappe, strizzandole con forza. Io lo succhiavo con sempre più ardore e sempre più velocemente, mentre gli facevo girare le palle nella mia mano. Intanto, con la mano libera, mi menavo il cazzo, che aveva ormai raggiunto la piena erezione.
“Ragazzo, hai proprio un bel culo!” esclamò, dandomi uno schiaffo sulla chiappa con la mano aperta. Per il trono di Odino, che male! La sua mano piombò violenta sul mio culo ancora un'altra volta, mentre io acceleravo i movimenti della mia bocca intorno al suo cazzo.
La sua mano non si fermò. Ormai la mia carne era una fiamma, eppure qualcosa mi stava eccitando. Volevo che la sua mazza penetrasse nella mia gola il più profondamente possibile. E invece, all'improvviso, mi tolse la canna di bocca.
“Girati e mettiti a quattro zampe!”
Obbedii al suo ordine, senza capire, ingenuamente, cosa volesse fare.
“Apriti il culo!”
Non capivo il senso di quell'espressione, così mi limitai solamente a spingere un po' il culo indietro. Invece lui mi spinse le chiappe ai lati con le mani.
La situazione era così nuova, e così strana!, per me, mi sentivo imbarazzatissimo. Comunque capii cosa significava “aprirsi il culo”: il soldato poteva vedere direttamente dentro il mio buco, messo in bella mostra, direttamente dentro quell'angolo così intimo del mio corpo. Mettendomi una mano sulla schiena, riuscì ad immobilizzarmi in quella posizione. Non mi ero mai sentito così indifeso in tutta la mia vita.
La sua mano libera si abbatté violenta contro le mie chiappe ed il mio corpo fu assalito dai brividi. Cercai di resistere, ma i miei occhi si riempirono di lacrime. Lanciai un alto gemito quando sentii la sua lingua calda leccarmi nell'angolo più intimo di tutto il mio corpo. La sua lingua scorreva su e giù lungo il taglio del mio culo ed il mio uccello fece un balzo insu, premendo contro la mia pancia. Una sensazione calda, mai provato fino ad allora, invase il mio corpo. Non riuscivo a smettere di gemere, soprattutto quando la sua lingua tentò addirittura di spingersi dentro il mio culo.
Con le sue grandi mani mi spalancava al massimo le chiappe. La sua barba corta ed ispida mi graffiava la pelle mentre la sua lingua mi entrava dentro sempre più in profondità. Io continuavo a gemere senza controllo e, desiderando che la sua lingua sprofondasse completamente nel mio sedere, spingevo il culo verso di lui.
Ma ben presto la sua lingua abbandonò il mio culo ed al suo posto sentii la punta bagnata del suo cazzo duro bussare alla mia entrata.
“Ancora vergine, vero?”
Lo guardai smarrito. “Virgo” era una parola di cui ignoravo il significato.
“Non sei mai stato scopato, vero?”
Che domanda priva di senso! Cercando di capire comunque quello che voleva sapere, gli risposi che non avevo mai scopato una ragazza. Lui scoppiò a ridere fragorosamente e, tirandomi un altro schiaffone sulle chiappe, esclamò: “No, non è quello che volevo sapere! Volevo saper se hai mai preso una minchia su per il culo!”
Ma cosa stava dicendo? Non poteva parlare sul serio, mi stava sicuramente prendendo in giro, diceva cose senza senso, cose di cui non avevo mai sentito parlare. Mi girai per guardarlo: il suo sguardo era fisso sul mio culo, mentre si menava la canna con la mano. Poi sentii un suo dito penetrare nel mio culo. Fui preso dal panico, iniziai ad urlare, mentre il dolore si faceva sempre più forte dal momento che inserì anche un secondo dito. Cercai di sollevarmi, di scappare via. Ma la sua grande mano mi teneva inchiodato al suolo.
“Ti prego, no!” lo supplicai.
Voleva fare una cosa impossibile, improponibile, sbagliata! Lo sentii sputare, le sue dita lasciarono il mio culo ed io ringraziai tutti gli Dei, i nostri ed i loro. Ma subito dopo sentii una cosa calda e grossa spingere contro il mio bocciolo di rosa. Capendo di cosa si trattava, lo pregai di non farlo. E invece la pressione divenne ancora più forte. Una mano si abbatté impietosa sulla mia carne.
“Apriti!”
“No, no, ti prego!”
Posizionò il suo corpo sul mio, appoggiandosi alla mia schiena, e, con la bocca sul mio orecchio, mi disse: “Rilassati, ragazzo, ora ti scopo, che tu lo voglia o no.”
“Ti prego, non posso, non si può!”
“Rilassati e basta, non opporre resistenza, spingi un po' indietro, come se dovessi cagare.”
Il suo cazzo spingeva contro di me. Il suo corpo schiacciava ed opprimeva il mio. Non avevo modo di sottrarmi a quel destino. Le lacrime scendevano copiose dai miei occhi. Il mio organo, fino a pochi minuti prima fieramente in tiro e ricoperto di liquido prespermatico, si era ora fatto piccolo piccolo ed era completamente moscio.
Feci una veloce preghiera, affidandomi a tutti gli dei di Asgaror, poi spinsi indietro il culo, come per fare la cacca. In quello stesso momento la grossa cappella riuscì a varcare la soglia del mio sfintere.
Mentre io lanciavo urla disumane, il soldato spingeva in avanti con tutte le sue forze. Il dolore mi stava uccidendo e non potevo fermare le mie urla ed il mio pianto, mentre quel cazzo avanzava centimetro dopo centimetro dentro di me. Dissi addio al mondo: ero sicuro che quel mostro gigantesco mi avrebbe spaccato in due.
A nulla valsero le mie urla, i miei pianti, le mie suppliche: il soldato continuò a spingere il proprio organo sempre più profondamente dentro di me. Le sue mani esploravano tutto il mio corpo, la mia schiena, il mio petto, mi afferravano il cazzo e le palle. La sua verga sembrava non finire mai. E invece, finalmente, sentii le sue palle sbattere contro le mie. Il romano si lasciò scappare un piccolo gemito.
“Visto che lo puoi prendere tutto?”
Non osavo muovere un muscolo, il dolore mi straziava ogni angolo del corpo. Mi sentivo pieno, strapieno, come se il suo uccello stesse cercando una strada per arrivare alla mia gola e uscire dalla mia bocca.
Si fermò un attimo a riprendere fiato. E poi riprese a muoversi. Ad ogni sua spinta il lanciavo un debole grido. Continuavo a piangere e a supplicarlo, sperando che la smettesse il prima possibile. Rividi la mia vita e i miei genitori, ero ormai convinto di morire, ucciso da quella enorme verga.
Iniziò a muoversi più velocemente, facendomi un gran male. Eppure, di tanto in tanto, colpiva qualcosa dentro di me e quando ciò succedeva mi dava piacere per qualche secondo. E così finii per spingere il mio culo verso di lui ad ogni sua spinta, desideroso di sentire ancora quella sensazione meravigliosa.
“Sì, così!” mi incitò il soldato, mentre le sue mani trovarono i miei capezzoli ed iniziarono a tirarli con forza. Rimasi senza fiato, eppure mi piacque, come ormai mi piaceva sentire le sue palle che sbattevano contro le mie ed il suo grosso corpo peloso che mi copriva. Sentii un brivido sorgere nella profondità del mio ano per poi correre fino alla punta del mio cazzo. Spinsi il mio culo indietro per accogliere meglio la spinta del romano. Nonostante la mia mazza fosse ancora moscia, sentivo di essere sul punto di sborrare. Lui prese ad assaltarmi il culo ancora più velocemente, schiaffeggiandomi le chiappe con le sue grandi mani. I miei gemiti erano sempre più forti. Strinsi i muscoli dell'ano attorno a quel palo che mi stava scopando. Volevo che non finisse mai, volevo continuare a sentire per sempre quella sensazione così nuova, quella sensazione così intensa, quella sensazione che era tanto superiore a tutte le altre che avevo sentito in tutta la mia vita. Dolore e piacere, piacere e dolore.
Dietro di me sentivo i gemiti sempre più alti del soldato, mentre le sue spinte erano sempre più veloci. Capii che stava per venire. Mi chiesi come sarebbe stato ricevere la sua sborra dentro di me. Tutto il mio corpo si irrigidì, il mio culo si strinse attorno al suo organo. Ero pronto a schizzare, anche senza toccarmi l'uccello. Guardai giù: la mia verga era solo mezza dura. Gemetti. Sentivo che stava arrivando. E poi lo vidi. Vidi il mio cazzo iniziare a esplodere e non finire più. Vidi il mio orgasmo. Vidi la cosa più potente che avessi provato in tutta la mia vita. Continuavo a schizzare sborra mentre il suo fallo mi scopava ancora con lunghi e veloci affondi.
Poi, con un gemito disumano, il soldato iniziò a schizzare la sua sborra nel mio culo. Era troppo per me. Perdetti i sensi per qualche secondo. Quando mi ripresi, la sua fava era ancora nel mio sedere. Il soldato era steso sopra di me, mi baciava il collo e le orecchie. Non avevo mai provato così tanto dolore. E non avevo mai provato così tanto piacere.
Girai la testa verso di lui, la sua lingua mi entrò in bocca. Le nostre bocche giocarono insieme.
“Hai un bel culo, ragazzo!” esclamò il soldato, tirandomi fuori dal culo il suo randello e dandomi l'ultimo schiaffo sulle chiappe. Poi mi disse di prendermi cura del suo cavallo. Raccolse la sua uniforme e, senza preoccuparsi di rivestirsi, uscì dalle stalle.
Mi rialzai anch'io. Un dolore lancinante partì dal mio culo per scuotere tutto il mio corpo. Mentre mi avvicinavo al cavallo, sentivo qualcosa gocciolare fuori dal mio culo per scorrere poi lungo le mie gambe. Guardai giù: era un misto di sangue e sborra. Mi sentivo usato e sporco. Ma anche soddisfatto. Mi chiedevo se solo ai Romani piacesse scopare in quel modo. Voglio dire, scopare i ragazzi nel culo. Era una cosa di cui non avevo mai sentito parlare presso il mio popolo.
Mi presi cura del cavallo, poi mi lavai con l'acqua della mangiatoia. Tornai lentamente alla baracca dove era rimasto Raedwald. Ad ogni passo mi faceva male il culo.
* * *
Trovai Raedwald che camminava su e giù per la baracca.
“Ehi, che bello, sei già tornato in piedi!” esclamai.
“Sì, mi sento molto meglio, anche se ho una fame da lupi.”
“Anche io.”
Mi sedetti contro il muro, su della paglia, che mi stuzzicava il culo nudo. Raedwald venne a sedersi accanto a me.
“Secondo te, cosa succederà?” mi chiese.
“Non lo so, spero che ci lascino liberi presto.”
“Lo spero anch'io, anche se ti devo confessare che mi sento un po' spaventato.”
“Credimi, non sei il solo.”
Raedwald appoggiò la sua testa sulla mia spalla. Mi sentivo smarrito. Il mio amico era sempre stato il ragazzo più intrepido della tribù, quello che non aveva mai paura di nulla, quello che era sempre pronto all'azione. E ora lo guardavo lì, più grande e forte di me, ma con la testa sulla mia spalla, ad elemosinare un po' di conforto. Lo avvolsi con un braccio e lo strinsi a me.
“Andrà tutto bene” gli promisi, dandogli un piccolo bacio sulla fronte.
“Sono stato un perfetto idiota, mi spiace” replicò con la voce spezzata, pronto a scoppiare a piangere.
Lasciai il mio braccio intorno a lui, ripetendogli che sarebbe andato tutto bene. E così ci addormentammo.
* * *
Fummo svegliati da un grido.
Un soldato ci gettò un pezzo di pane. E prima di andarsene sputò per terra.
Almeno avevamo qualcosa da mangiare, anche se si trattava di pane vecchio. Lo mangiammo comunque, e ci sentimmo un po' meglio. E Raedwald iniziò a progettare un piano per scappare. Io cercai di convincerlo che era possibile: eravamo in un accampamento romano in cui alloggiavano centinaia, o forse addirittura un migliaio, di soldati! Come avremmo potuto anche solo avvicinarci ai cancelli? Comunque lo lasciai parlare dei suoi piani. In fondo mi faceva piacere vedere che stava riacquistando un po' del suo vecchio spirito battagliero.
All'improvviso un gruppo di soldati entrò. Uno di loro ci disse di alzarci e metterci contro il muro. Obbedimmo, coprendoci le pudenda con le mani.
I soldati si fecero da parte e altri due entrarono. Ne riconobbi uno: era quello che avevamo aggredito. L'altro doveva essere un centurione.
“Sono questi i ragazzi che ti hanno attaccato?”
“Sissignore.”
Il soldato più anziano ci osservò. Poi si girò verso l'altro e gli tirò uno schiaffo in faccia.
“Per Giove, ma sono solo ragazzi! Ti sei fatto attaccare da due ragazzini!” scoppiò a ridere il centurione, presto seguito da tutti gli altri presenti. Poi aggiunse, rivolto a noi: “Voi sapere cosa succede a chi attacca un cittadino romano?”
Noi avevamo gli occhi fissi per terra, impauriti dalla risposta.
“Morte! Almeno fino a poco tempo fa, ora siamo più clementi, non amiamo troppo la brutalità. Quindi, vi concederemo di rimanere in vita, vendendovi come schiavi per servire l'Impero.”
Il mio cuore smise di battere. Cosa era peggio? La morte o la schiavitù?
Il centurione riprese a parlare rivolgendosi nuovamente al soldato: “Vedremo quanto riusciremo a ottenere dalla loro vendita. Comunque, il ricavato verrà diviso tra gli uomini che sono venuti a salvarti. Tu non otterrai neppure un sesterzio.”
“Ma signore, io li ho affrontato!”
“Silenzio! Ringrazia gli Dei se non sto vendendo anche te come schiavo: nessun vero soldato romano si farebbe attaccare da due ragazzini!”
Dette queste parole, si girò e se ne andò, seguito da tutti gli altri soldati, tranne quello che Raedwald aveva attaccato.
“Bastardi!” ci gridò costui, tirando un pugno in pancia a Raedwald, che ricambiò. Cercai di dargli manforte, ma il soldato invece mi tirò un pugno sotto il mento, facendomi cadere tramortito ai piedi del mio amico.
* * *
“Tutto bene?”
“Sì” risposi massaggiandomi il mento.
Fuori iniziavano a calare le tenebre. Io tremavo tutto.
“Hai freddo?” mi chiese Raedwald.
“Sì. Quanto vorrei che ci restituiscano i nostri vestiti...”
“Dai, ci riscalderemo l'un l'altro. Ho freddo anche io.”
Raedwald si stese accanto a me, premendo il suo corpo contro il mio. Era anche lui freddo, ma riuscii comunque a sentire un po' del suo calore.
“Cazzo, stai tremando!” esclamò.
Mi avvolse tra le braccia e mi strinse ancora più stretto a sé.
“Grazie, Raedwald.”
“Hai paura?”
“Sì. Tu?”
Rimase in silenzio per un po', poi alla fine ammise di avere paura anche lui: “E non c'è nessuno che possa aiutarci. Ce la dobbiamo cavare da soli.”
Mi strinse ancora più forte. Il calore del suo grembo mi scaldava il sedere. Sentirlo così vicino a me mi faceva stare bene. Capii che anche lui si stava godendo il calore che riuscivamo a scambiarci l'un l'altro.
* * *
“Ah, ma guarda questi due teneri colombi!”
Il grido ci svegliò.
Un gruppetto di soldati era accanto a noi. Uno teneva in mano un'anfora e dalla puzza che emanavano si capiva che dovevano aver bevuto un po' troppo vino.
Solo poco qualche istante mi accorsi che Raedwald aveva un'erezione, che premeva contro il mio sedere, e che anche la mia verga era dura.
Con le loro grandi mani, mi caricarono sulle sue larghe spalle di uno di loro. Io scalciai e gridai, ma uno dei romani mi tirò un forte schiaffo sul culo. Vidi che altri due soldati trascinavano via Raedwald, facendogli trascinare i piedi per terra.
Mi portarono fuori, mentre il mio amico venne portato dentro una costruzione di legno. Io invece fui trasportato nel lato opposto dell'accampamento. Scalciavo, gridavo, facevo di tutto per liberarmi, ma le mani che mi tenevano prigioniero erano troppo forti.
“Che selvaggio!” esclamò uno dei soldati e un altro gli replicò ridendo: “E magari è anche vergine!”
Alla fine entrammo in una baracca e mi buttarono su un sacco di tela ripieno di fieno. Cercai di alzarmi, ma con un calcio alle gambe mi fecero cadere giù.
“Vi prego!” li supplicai, tentando di nuovo di rialzarmi.
Ci trovavamo in una specie di dormitorio, scarsamente illuminato da due torce, con un tavolo in mezzo e dodici sacchi ripieni di fieno per terra. Su alcuni di questi sacchi erano stesi, mezzi nudi, dei soldati a bere vino.
“Non renderti la vita complicata, bimbo, non ti succederà nulla” mi disse il grosso soldato che mi aveva caricato sulle spalle.
I suoi compagni iniziarono a ridacchiare. Io strisciai contro il muro, rannicchiandomi su me stesso per farmi il più piccolo possibile.
“Sembra così innocente...”
Guardai nella direzione da cui arrivava quella voce.
“Ha gli occhi azzurri, che carino!”
Non appena i miei occhi si adattarono alla luce fioca, potei vedere l'uomo che aveva parlato. Era steso su un letto. Mentre lo osservavo, lui calciò via il lenzuolo. Sotto era nudo. Si prese in mano la minchia ed iniziò a giocarci, fino a farla diventare dura.
Io scossi la testa e saltai su, cercando di guadagnare l'uscita. Ma prima che potessi fare anche solo un passo, una moltitudine di mani mi bloccarono.
Gridai loro di lasciarmi andare. E invece mi ritrovai mani su ogni angolo del corpo, mani che mi tiravano schiaffi, mani che mi davano pizzicotti.
Mi sollevarono e mi sistemarono a cavallo di un tavolo, con il culo sopra e la faccia che penzolava giù. Mani grandi mi spalancarono le chiappe, mentre altre mi afferravano il cazzo e le palle. Nessuno si curava delle mie grida, anzi ridevano di me. Mi aprirono le gambe e subito sentii una dura nerchia bagnata premere contro l'apertura del mio culo.
“Dai, ragazzino, apriti, fai entrare paparino!”
Prima che potessi minimamente reagire, spinse il proprio cazzo dentro di me, sfondandomi il culo. Lanciai un alto grido e un altro soldato ne approfittò, ficcandomi la sua minchia in bocca. Il dolore al culo era intollerabile, ma non avevo modo di sottrarmi ad esso: mani forti mi tenevano fermo ed una grossa mazza mi scopava la gola. Eppure, nonostante il dolore e l'umiliazione che provavo, la mia fava si indurì, facendosi strada sotto il tavolo.
“Ragazzo, sei stretto come piace a me!” ridacchiò il soldato dietro di me, spingendo la sua canna tutta fuori dal mio culo e poi sbattendola di nuovo tutta dentro.
Mi vergogno ad ammetterlo, ma più in profondità mi inculava più io godevo. Iniziai a succhiare il cazzo nella mia bocca con desiderio, con entusiasmo. Pensavo che più forte lo avrei succhiato, prima avrei finito. Ma pensavo anche alle altre fave dure intorno a noi. La maggior parte dei soldati nella stanza erano in piedi intorno a noi, nudi, con il cazzo duro in mano, ad incitare i compagni a fare presto, aspettando il proprio turno.
Il soldato che mi inculava iniziò a scoparmi sempre più velocemente, accarezzandomi tutta la schiena e schiaffeggiandomi le chiappe. Il suo cazzo era enorme, mi riempiva ogni angolo del culo. Strinsi i miei muscoli intorno ad esso, per sentire meglio quel manico caldo e duro così profondamente immerso dentro me.
Il soldato che mi scopava la bocca sfilò il suo cazzo. Quasi lo supplicai di sbattermelo di nuovo in gola. Invece lui prese le proprie palle e me le ficcò in bocca.
“Sì, ragazzino, leccale!”
Passai la mia lingua sulla pelle morbida delle sue palle pelose, bagnandole e succhiandole delicatamente, mentre le mie narici si riempivano del suo odore.
Intanto lui si menava il cazzo e urlò che stava per sborrare. Gli altri, pompando più velocemente le proprie verghe, lo incitarono a riempirmi la faccia di crema.
“Sì, succhiami le palle!”
Le mie labbra si serrarono intorno alle sue palle, mentre io tiravo più forte che potevo.
“Oooh, sì, cazzo!”
Dense gocce di sborra planarono sul mio volto e sui miei capelli. Il soldato gemette rumorosamente mentre si svuotava le palle sulla mia faccia.
A quel punto sentii il randello nel mio culo gonfiarsi ancora di più e il suo possessore spingere con violenza in avanti, schiacciandomi ancora di più sul tavolo. Per un attimo temetti che la mia mazza dura si potesse spezzare, dal momento che si ritrovò completamente spinta all'indietro, con mio grande dolore. Dovetti alzare un attimo il culo, per allentare la pressione.
In quel preciso istante sentii il soldato schizzare il suo sperma profondamente dentro di me. Forse perché sentii la sborra calda nel mio culo o forse a causa dello sfregamento della mia minchia, fatto sta che all'improvviso fui sconvolto dall'orgasmo più intenso che mi fosse mai capitato in tutta la vita.
Mentre la mia sborra zampillava fuori dal mio randello e lo sperma del soldato mi riempiva il culo, mi venne spinto in bocca un altro cazzo. Lo succhiai con grande gioia. Sebbene fosse un po' più piccolo del precedente, aveva un sapore differente. Inoltre, proprio per le sue dimensioni inferiori, si adattava meglio alla mia bocca, tanto che potevo succhiarlo prendendolo tutto senza problemi, fino al punto che i suoi peli pubici mi solleticavano il naso.
Il cazzo nel mio culo uscì solo per cedere il posto ad un altro. Il soldato iniziò subito a scoparmi con violenza. Non ci volle molto per sentire il mio culo di nuovo inondato dal suo seme caldo. Intanto il soldato che mi scopava la bocca mi strinse a sé per la nuca e, lanciando un grido, mi sborrò in gola.
Non so quante volte sia il mio culo che la mia bocca furono invasi da cazzi di ogni tipo, forma, dimensione e sapore. So solo che mi bruciava la gola, che il culo mi sembrava scorticato e che mi faceva male tutto il corpo, dal momento che ero sbattuto su un tavolo di duro legno. Io, dopo aver schizzato un paio di volte, mi sentivo spossato e privo di energie. Credo che mi addormentai mentre mi scopava l'ultimo soldato.
* * *
Quando mi risvegliai, ero steso sul fieno accanto a Raedwald.
“Tutto bene?” chiese.
“Sì, tu?”
Nel sedersi gemette di dolore.
“Ti fa male?” gli domandai.
“Sì, un po'” rispose, poi aggiunse sorridendo: “Ma è stato anche piacevole.”
“Anche per me.”
“Sai che questa è l'ultima mattina che passeremo qui? Più tardi verranno a prenderci.”
Ci guardammo negli occhi per un lunghissimo minuto. Non riuscivo a crederci. Saremmo stati venduti come schiavi. Non avremmo mai più rivisto le nostre famiglie ed il nostro villaggio. Scoppiai a piangere.
Raedwald mi si avvicinò e mi abbracciò.
“Andrò tutto bene” mi rassicurò.
* * *
Il giorno seguente fummo ammassati in una specie di gabbia con le ruote insieme a tante altre persone: uomini, donne, persino qualche bambino. Due buoi trainavano la gabbia. Io e Raedwald eravamo appoggiati uno contro l'altro. Per fortuna ci avevano dato un pezzetto di stoffa con cui eravamo riusciti a coprire almeno le pudenda. Stavamo tutti in silenzio. Solo qualche donna ogni tanto si lamentava un po'. Ogni tanto uno dei due cocchieri si girava a guardarci.
“Raedwald, devo fare pipì” gli sussurrai all'orecchio.
“E allora falla.”
“Non posso certo farla qui!”
“Guarda quella pozzanghera d'acqua” mi replicò indicando con lo sguardo una donna, sotto la quale era ben visibile una larga macchia bagnata sul pavimento di legno. Poi aggiunse: “Prima non c'era.”
“Ma io non ci penso neppure a sedermi nel mio stesso piscio!”
Mi alzai, o meglio cercai di assumere la posizione più vicina a quella di una persona in piedi, dal momento che la gabbia era troppo bassa per permettermi di alzarmi davvero. In quella posizione scomodissima, riuscii a fatica a girarmi e a infilare il mio randello tra le sbarre. Mi liberai la vescica. Proprio in quel momento, si girò verso di noi un cocchiere. Scoppiò a ridere fragorosamente.
“Guardalo! Dev'essere un patrizio, tra questi straccioni di barbari! Non si vuole sporcare!”
Ora ridevano entrambi.
“Tieni” disse il cocchiere al suo compagno, porgendogli le redini: “Devo pisciare anch'io.”
Nel frattempo io avevo finito e mi ero seduto di nuovo. Il cocchiere venne davanti a me, si alzò la tunica, si prese il cazzo in mano e diresse il getto di piscio su di me. Cercai di scansarmi, ma non c'era tempo e modo per scappare. Il caldo getto di piscio mi colpì la testa ed il petto.
Finalmente il flusso si esaurì. L'uomo si scosse la minchia e tornò al suo posto.
“Non ti preoccupare” mi disse un uomo seduto accanto a me: “Prima di sera puzzeremo tutti.”
* * *
Era già buio quando arrivammo in una specie di cortile. Finalmente una sosta... Arrivarono di corsa degli uomini e circondarono la nostra gabbia. Erano tutti armati di bastone. Chiusero le grandi porte del cortile e solo allora aprirono la nostra prigione. Lentamente uscimmo. I muscoli ci facevano male. Su un tavolo al centro del cortile misero delle pagnotte e delle caraffe d'acqua. Ci ammassammo per dissetarci e sfamarci. Solo in quel momento ci ricordammo che non avevamo mangiato e bevuto per tutto il giorno. Alcuni di noi mangiarono con tale avidità che sembrava che non avessero mangiato da giorni. E per molti di loro era probabilmente vero. Dopo la “cena”, noi uomini fummo divisi dalle donne. Entrambi i gruppi furono condotti in una grande struttura di legno. L'illuminazione era molto scarsa, solo due o tre torce.
“Guarda questo posto...” mi sussurrò all'orecchio Raedwald.
Non vidi granché, il buio era troppo fitto. Comunque fummo obbligati ad entrare.
A destra e a sinistra c'erano delle ampie gabbie. La puzza di merda e di piscio era nauseante. Le donne furono rinchiuse in una delle gabbie sulla sinistra. Noi fummo ammassati in un'altra, sul lato opposto.
Cercai di raggiungere le sbarre, per respirare meglio. Ma c'erano troppi uomini lì dentro. Inciampai.
“Attento! Stavo dormendo”
Sbattei contro un uomo, che con le sue grandi mani mi spinse via. Caddi sul fieno bagnato che copriva il pavimento.
Raedwald venne in mio aiuto, mi fece rialzare e mi portò al lato della gabbia, contro le sbarre. I miei occhi iniziavano ad adattarsi al buio. Eravamo almeno quindici lì dentro.
L'uomo su cui ero inciampato sì alzò. Il suo vestito di lino era spinto da parte dalla grossa verga in tiro. Si posizionò contro il muro della gabbia. E con il cazzo in mano, iniziò a pisciare.
“Faremmo meglio a dormire. Sono stanchissimo” mi disse Raedwald, stendendosi sul fianco sulla paglia. Poi mi chiamo: “Wulfric...”
“Sì?”
“Potresti... potresti rannicchiarti contro di me?” chiese timidamente.
“Va bene” risposi, avvicinandomi a lui e premendo il suo corpo contro il suo.
“Cosa succederà?”
“Mi sa che lo scopriremo presto. Ma ora dormi. Abbiamo entrambi bisogno di riposo.”
Avvolsi con un braccio il suo corpo, che era più grande del mio. Il suo respiro si fece sempre più lento e profondo. Capii che stava scivolando nel sonno. Chiusi anche io gli occhi, sperando che quando li avrei riaperti mi sarei ritrovato nel mio letto. Magari quello fosse stato solo un incubo...
“Ehi, bel ragazzino!”
Girai la testa. Era lo stesso uomo di prima, accovacciato accanto a me. Si stava menando la verga dura.
“Come ti ho detto, stavo dormendo. E stavo facendo un sogno davvero bello. Mi stavano facendo un pompino!”
“Non rompermi le palle!” sibilai.
Girai di nuovo la testa verso Raedwald. Ma l'uomo mi afferrò rudemente per le spalle e mi rigirò steso a pancia in su. Prima che potessi reagire, si sedette sul mio petto.
“Puttana, succhiamelo!” mi ordinò, spingendo la sua fava contro le mie labbra. Con la mano libera mi obbligò ad aprire la bocca e così mi sbatté il suo cazzo in bocca. Ero troppo stanco per ribellarmi, volevo sollo dormire, il mio corpo era tutto un dolore. La sua cappella raggiunse il fondo della mia gola, togliendomi il respiro. Con le sue mani prese le mie, premendole contro il pavimento e bloccandole dietro la mia testa. Iniziò a muovere il suo bacino più velocemente, fottendomi la bocca in profondità. Io facevo sempre più fatica a respirare.
“Sì, cazzo, ciucciami l'uccello!”
Intorno a noi, gli altri russavano, compreso Raedwald. Dalla parte opposta della gabbia giungevano deboli bisbigli e gemiti.
Le palle dell'uomo sbattevano contro il mio mento. Il suo cazzo sembrava che continuasse a ingrossarsi ad ogni sua spinta.
Prese la mia mano e la portò al suo capezzolo. Voleva che glielo tirassi.
“Oooh, sì... sai come farmi godere!”
Iniziò a scoparmi la bocca ancora più velocemente. Con il cazzo tutto ficcato nella mia gola, si fermò, lanciò un gemito basso. Arcuò il suo corpo. Il suo sperma mi allagò la bocca, un fiume in piena, parte della sua sborra mi gocciolò fuori.
“Mmmm... Sì!”
Alla fine collassò su di me, con il suo randello ancora nella mia bocca. Cercai di scivolare da sotto di lui, ma era troppo pesante e mi impediva di muovermi.
Dopo qualche minuto sfilò dalla mia bocca il suo cazzo tornato quasi del tutto moscio. Si stese accanto a me. Con mio sommo orrore, la mia fava svettava dura.
“A quanto sembra, è piaciuto pure a te...” disse lui, prendendomi in mano il cazzo. Iniziò a segarmi.
“Ora sono troppo stanco” replicai. Mi rigirai sul fianco, dandogli le spalle. Ma lui non mollò la mia canna. Anzi, si mise anche lui sul fianco, premendo il suo corpo contro il mio.
“Bene, allora dormiamo, bel ragazzino.”
Rimasi sveglio un po', a fissare la nuca di Raedwald. L'uomo dietro di me continuava a tenere la sua mano intorno al mio cazzo. Ma ben presto lo sentii russare tranquillamente e la sua stretta si allentò. Poco dopo mi addormentai anch'io.
* * *
Il mattino dopo mi svegliai con una lingua umida nell'orecchio, una nerchia dura tra le gambe e una mano che giocava pian piano col mio cazzo. Raedwald dormiva ancora, come tutti gli altri uomini.
“Ti ho svegliato?” ghignò l'uomo dietro di me, facendo muovere ancora una volta il suo membro tra le mie gambe. Un suo grosso braccio ci circondava le spalle e la sua mano mi carezzava il petto. Mi tirò un capezzolo. Io mi feci sfuggire un sospiro. La sua mano intorno alla mia erezione mattutina iniziò a muoversi più velocemente.
Può sembrare strano, ma tra le sue braccia mi sentivo bene, protetto, confortato. Non c'era traccia di violenza. Il suo corpo mi riscaldava. La sua mano si muoveva su e giù lungo il mio manico. I suoi denti mi mordicchiava delicatamente il lobo dell'orecchio. I suoi peli mi solleticavano la schiena. Era tutto piacevole ed il mio corpo iniziò a reagire. Spinsi il mio corpo verso di lui. Il suo organo mi scopava tra le gambe. La sua cappella mi stuzzicava le palle. Ci muovevamo come un corpo solo. Sempre più velocemente. Il suo pugno si strinse ancor di più intorno al mio cazzo. Capii che stavo per sborrare. Girai la testa verso di lui. La sua lingua abbandonò il mio orecchio, raggiunse la mia bocca. Gli succhiai la lingua tutta dentro di me. Lo avvolsi tra le mie braccia. Le mie mani scivolarono sul suo culo. Gli stringevo disperatamente quelle grandi chiappe tondeggianti.
Il nostro ritmo era sempre più frenetico. I nostri respiri seguivano lo stesso tempo.
“Oooh!” gridai. Non riuscii a resistere più. Densi zampilli di sperma eruttarono fuori dal buchetto della mia cappella, schizzando su tutta la schiena di Raedwald e sulla mano dell'uomo.
Continuò a segarmi fino a che non ebbi buttato fuori anche l'ultima goccia. Poi si girò sulla sua schiena. Con pochi colpi, iniziò a sborrare. Si riempì tutto il grande petto villoso. Qualche goccia arrivò fino al mio volto.
Quando entrambi riprendemmo fiato, mi fece un ampio sorriso e disse: “È stato magnifico, bel ragazzino. A proposito, io mi chiamo Cadwallon.”
“È piaciuto molto anche a me. Io sono Wulfric.”
Si alzò e mi aiutò ad alzarmi. Lo seguii fino al fondo della gabbia. Si accovacciò contro il muro. Tirandosi l'uccello verso il basso, iniziò a pisciare.
“Scommetto che oggi sarà il grande giorno” disse.
“Perché?”
“Il mercato” rispose, liberandosi di un sonoro peto.
Mi accovacciai accanto a lui e mi svuotai anch'io.
“Oggi ci porteranno al mercato.”
“Saremo venduti?”
Anche io mi lasciai scappare qualche peto. Lui ridacchiò. E sebbene fossi nel panico a pensare a ciò che sarebbe accaduto quel giorno, risi con lui.
“Non è sempre una cosa così brutta. Col mio vecchio padrone ho avuto una vita decente. Lavoravo le sue terre.”
“E perché ti ha venduto?”
“Aveva bisogno di denaro” rispose, raccogliendo un po' di paglia per pulirsi il culo: “Debiti. Credo che giocasse d'azzardo. Comunque, mi trattava bene. Spero che il mio nuovo padrone sarà come lui.”
Seguendo il suo esempio, mi pulii anch'io.
Tornammo da Raedwald.
“Vi amate?”
“No, è un amico. Ci conosciamo da quando siamo nati.”
Cadwallon mi mise una mano sulla spalla e mi disse: “Quando si sveglia digli addio. Probabilmente non sarete venduti allo stesso padrone.