Alcuni anni fa Stavo camminando in centro con Elisa, la mia fidanzata, quando vedo uscire dal **** Armando, un mio nuovo collega a fianco di un giovanotto sulla cui spalla stava tenendo una mano. “Ciao Armando” faccio quando ci incrociamo, con un sorriso mi risponde “Ehi ciao Matteo!” Non passano che pochi passi che Elisa mi fa “Ma chi è quello che hai salutato?” “E’ Armando un mio nuovo collega. E’ un esperto di database “ Lei mi fa ancora “Ma hai visto da dove è uscito?” “Perché?” le faccio io “Ma il **** è un locale di gay!” mi disse un po’ schifata “Davvero! Allora devo stare attento! Anche se devo dire che se sarai gentile con me non subirò la sua attrazione …” Lei ride e ridendo non risponde. Deluso continuiamo la passeggiata a negozi. Le cose fra noi non vanno molto bene da qualche tempo. Ci siamo conosciuti qui a ****, dove entrambi siamo venuti a studiare, io dall’Umbria e lei dalla Romagna. Lei era un paio d’anni più giovane di me e ci mettemmo quasi subito insieme. Lei lasciò una sua precedente fiamma che aveva conosciuto al liceo.
Nonostante fosse grassottella a me piaceva, forse anche perché anch’io non ero un adone. Alto poco più di un metro e 70, capelli e occhi castani ero (e ahimè sono) cicciottello, con le tettine che mi arrivano a fare una prima scarsa, una decina di chili di troppo (forse anche quindici) e una intensa attività lavorativa che mi lascia appena lo spazio per andare in piscina un paio di volte alla settimana. Come dicevo allora le cose tra me ed Elisa non marciavano più come una volta. Io lavoravo in una azienda di informatica del posto come analista e capo gruppo, mentre lei aveva vinto una collaborazione a progetto con una importante multinazionale dell’informatica e passava tutta la settimana a Milano, ospite di una compaesana. Non era mai stata larga di favori sessuali, in genere si lasciava andare sempre dopo qualche esame superato bene (anche grazie al mio aiuto che ero più avanti con gli studi).
Ma adesso ci si vedeva solo durante il week end ed era spesso stanca o aveva preso una tale selva di appuntamenti con amiche, amici e parenti che tempo per noi ne rimaneva molto poco. Io soffrivo ma quando cercavo di affrontare l’argomento lei mi diceva di lasciar stare che era stanca e che non voleva rovinare con inutili discussioni i pochi istanti che avevamo per stare insieme. Quando infine eravamo soli, una volta la stanchezza, una volta il mal di testa, un’altra volta una nuova scusa, ma oramai più di qualche bacio e un po’ di petting non si riusciva a fare! Elisa aveva ancora il suo mini appartamento da studentessa e ogni tanto andavo a dar da bere alle sue piantine e anche a rimpiangere un po’ il periodo in cui lei studiava ancora prima per la laurea e poi per il dottorato di ricerca interretto dall’assunzione nella tentacolare multinazionale.
Qualche giorno dopo, ero a pranzo in un bar vicino all’ufficio quando vengo avvicinato da Armando il quale, dopo avermi chiesto se poteva, si sistemò al tavolino con il suo panino e la sua bibita. Attaccò a chiacchierare e lo trovai anche simpatico. Ero ancora memore di quello che mi aveva detto Elisa del locale da dove era uscito e cercavo di scorgere in lui qualche segno di “diversità”. Ad un certo punto se ne uscì con “Era la tua morosa quella con cui ti ho visto sabato scorso in centro?” “Sì, è proprio lei” “Bene dai potremmo organizzare anche una serata per conoscerci tutti meglio!” “Certamente! Quando avremo una serata lo facciamo!” Tra me e me invece pensavo .
Passarono pochi giorni quando ci fu una riunione legata ad un nuovo importante progetto che mi avrebbe visto responsabile di una componente importante. Eravamo poco più di mezza dozzina tutti attorno al tavolo e quando feci vedere una serie di diagrammi dal mio personal, tutti quelli che erano attorno al tavolo e non vedevano si portarono attorno a me. Armando era in piedi alla mia sinistra, vicino alla spalla. Ad un certo punto si protese in avanti per indicare un punto del diagramma e fare una domanda. Il suo pacco si posò sul mio braccio. Rimase non più di un minuto in quella posizione, muovendosi anche preso dalla discussione, poi si rimise in piedi. Ero rimasto basito da quello che era successo perché avevo avvertito con precisione la mollezza e la conformazione del suo uccello ma al tempo stesso non mi aveva fatto in alcun modo schifo. Tutti questi movimenti erano apparsi naturali e sembrava che non ci fosse alcun secondo fine.
Dopo pochi minuti fu la volta di Armando di illustrare dal suo personal computer i diagrammi che ci interessavano. Fu la mia volta di mettermi in piedi a fianco di lui. Ma non mi protesi in avanti. Successe però che, nella foga di illustrare quanto stava mostrando, muovesse in modo anche scoordinato il braccio e, così facendo, più di una volta il suo braccio “accarezzò” il mio “lui”. Anche questa volta rimasi basito perché il massaggio, credo involontario, non mi era dispiaciuto. Quella notte ebbi un sogno agitato in cui mi vedevo prendere in mano un cazzo turgido e lo menavo mentre al contempo mi segavo. Mi risvegliai tutto bagnato da una polluzione notturna. Caso volle che il giorno dopo Armando si presentò ancora una volta al bar dove mangiavo e si sedette con me per la pausa pranzo. Mi raccontò un po’ di lui e chiese di me. Non era un trentenne come me ma ne avrà avuto forse più quaranta che trenta. Lui era di origini calabresi e, prima di affrontare il secondo biennio di informatica aveva scelto la via dell’emigrazione ed era venuto anche lui a **** per completare il corso di studi. Aveva lavorato qualche anno a Milano presso una multinazionale, poi aveva scelto un’azienda di qui e da pochi mesi era giunto nella società dove lavoravo.
Chiacchieravo piacevolmente con lui, non c’era niente da dire, ma al tempo stesso ogni tanto il mio cervello era come fulminato da pensieri, immagini, sensazioni; risentivo il suo uccello sul mio braccio, il mio cazzo massaggiato da lui, le immagini del sogno erotico di questa notte. Non sapevo cosa fare. Non ero attirato da questa situazione ma ero colpito che essa non mi dispiacesse quasi a voler significare che forse io …
Decisi così di provare a tornare sui posti della mia conclamata eterosessualità e così finita l’ora di piscina, prima di andare a cenare, decisi di passare a casa di Elisa con la scusa di dare da bere alle sue piantine. Fu con un tuffo al cuore che vidi la luce accesa nel suo appartamentino: era tornata prima del previsto! Perché non mi aveva chiamato? Ma forse per farmi una sorpresa! Allora le farò io una sorpresa. Arrivai in un baleno al pianerottolo, tremante ma prudente infilai la chiave nella serratura attento a non fare rumore. Socchiusi lentamente l’uscio e … cominciarono a giungermi rumori strani che non associavo in alcun modo alla presenza di Elisa. Erano rantolii, sospiri … una illuminazione: due che facevano l’amore! Oppure era la televisione che in fascia protetta trasmetteva comunque … Avanzai lento attraversando la stanza che fungeva da zona giorno e mi diressi verso la porta socchiusa della camera da letto. Quando fui lì rimasi di pietra fulminato da ciò che vidi ma soprattutto da ciò che sentii. Elisa nuda a gambe aperte si stava facendo montare da un tizio pelato e grassone (perlomeno più grassone di me!) che le stava pastrugnando le tettone mentre si urlavano sconcezze. “Dai sbattimi ! Sei grande! Dio come ce l’hai grosso!” “Prendi troia! Sei la mia baldracca!” “Si sono tua! Fammi quello che vuoi!” Mai lei si era lasciata andare con me! Ero là inebetito, un cazzotto nello stomaco, l’acido che mi saliva alla bocca e il cervello che si rifiutava di credere a ciò che vedeva. Dopo alcuni minuti mi ripresi e lentamente me ne scivolai fuori e come un automa tornai a casa.
Le immagini che avevo visto mi ballavano davanti al naso e mi sentivo a pezzi. Pensavo che comunque forse le cose si potevano sistemare. Magari c’era anche una spiegazione … Ad un certo punto non ce la feci più e la chiamai al cellulare. Mi rispose dopo qualche squillo con voce infastidita “Ciao. Cosa c’è?” “Ciao Elisa! Dove sei?” “A Milano dove vuoi che sia? Dai cosa vuoi che sono impegnata!” “Niente volevo sapere se venerdì tornavi e se ci potevamo vedere perché devo parlarti di una cosa importante” “Sì, certo che torno. Va bene ci vedremo per parlare di questa cosa. Adesso ti saluto perché sono impegnata”. Cosa stavo facendo? Ero solo un uomo disperato che cercava di aggrapparsi all’ultima speranza a quella possibilità su un milione che il cervello negava ma che il cuore continuava a seguire. Non riuscii a chiudere occhio per tutta la notte rincorso dalle immagini che avevo visto e dalle infinite domande che mi ponevo.
Venerdì sera mi precipitai non appena giunse un’ora decente a casa di Elisa per parlare con lei, per cercare di mantenere in piedi un rapporto cui tenevo moltissimo. Suonai alla porta (non volevo usare la mia chiave quando sapevo che lei era in casa – soprattutto dopo quello che era capitato l’altra sera), dopo qualche decina di secondi Elisa apparve sulla soglia “Ah sei tu. Vieni dentro che ti devo parlare” Si girò e andò al divano ma non si sedette. “Senti Matteo ho pensato al nostro rapporto e credo che non abbia più senso tenerlo in piedi. Io ormai sto a Milano e vedersi i fine settimana non mi da nessuna soddisfazione. Perciò ho deciso di lasciarti.” Disperato cercai di mantenere in piedi una speranza “Ma Elisa se il problema è la lontananza si può trovare una soluzione. Posso venire a lavorare anch’io a Milano …” “Senti mi dispiace Matteo di dirtelo, avevo sperato di evitarlo, ma la tua ostinazione non mi lascia spazio. Ho un altro uomo, si chiama Dario, tra l’altro è il mio capo. Pensiamo anche di sposarci. Quindi chiudiamo qui la storia e ora scusami ma sto aspettando delle persone e preferirei che tu non ci fossi quando arrivano”. Se un treno mi fosse passato sopra non avrei potuto sentirmi peggio. Mesto me ne andai via. Erano due le sensazioni dominanti: la prima di disperazione perché Elisa, cui tenevo tanto, mi aveva lasciato. La seconda di rabbia per come mi aveva scaricato e per quanto stronza si era dimostrata. Era solo un’arrivista che si accompagnava a quelli che la potevano aiutare. E allora mi deprimevo ancora di più pensando e .
Ero a terra. Moralmente era stato un colpo troppo forte. Passai come rincoglionito tutto il week end. E la settimana lavorativa che seguì fu un disastro. Di notte riuscivo a dormire solo poche ore mentre i primi giorni non riuscivo in alcun modo a concentrarmi su quello che dovevo fare. Quando mi chiedevano indicazioni sui lavori da fare non riuscivo a prendere decisioni. Infine cercai di mettermi a lavorare sul serio ma non credevo più in me e nelle mie capacità e quindi riuscivo a fare neanche la metà di quelle che erano le mie normali capacità lavorative. Qualcosa cominciava a circolare in Azienda come voci di corridoio, ma non avevo neanche la forza e la voglia di contrastarle. Evitavo di parlare, anche nelle pause, con gli altri e cercavo di isolarmi. Avevo cambiato anche bar dove ero solito mangiare.
Fu quindi con una certa sorpresa che il venerdì mentre ero lì a sbocconcellare un panino vidi arrivare Armando. Si sedette con il suo panino e il suo succo. Parlò per lo più di cazzate, non curandosi che io rispondessi e di questo lo ringraziai mentalmente. Dopo il caffè mi disse “Vieni che facciamo due passi fino ai giardinetti qui di fronte poi torniamo al lavoro” Feci un cenno di assenso e ci avviammo lentamente verso i giardinetti. Mi mise una mano sulla spalla e mi disse “Senti Matteo sei libero di dirmi di farmi i cazzi miei, ma non riesco a stare zitto! Sono alcuni giorni che hai una faccia! Sul lavoro non stai andando bene e ci sono voci che circolano. Cosa ti sta succedendo? Cosa posso fare per aiutarti?” Il tono era accorato e non riuscii a resistere e fu come un fiume in piena che travolge gli argini. Gli raccontai tutto, quello che avevo dentro e trovai un orecchio che mi ascoltava attento, una persona che sembrava capire ciò che provavo. Eravamo seduti su una panchina quando scoppiai a piangere. Mi strinse con un braccio le spalle e con la mano spinse il mio viso a nascondersi nell’incavo del viso. Lasciai che le tensioni accumulate si sfogassero e piansi come un vitello: era bello poterlo fare e non pensare al dopo.
Dieci minuti dopo, tirando su il naso sollevai il mio viso con gli occhi arrossati dal dolce riparo dove si erano nascosti finora nascosti. Armando mi sorrise accarezzandomi la guancia rigata di lacrime, mi porse un fazzoletto di carta e mi disse con voce partecipe “Senti Elisa è proprio una stronza! Per come si è comportata questi anni e per come ti ha mollato. Quindi chi ne ha guadagnato sei tu, anche se adesso non ti sembra. Ora hai una cosa da fare urgentemente: concentrarti sul tuo lavoro perché è una cosa tua e solo tua e lei non può rovinarti anche questo!”. Con un sospiro gli dissi “Grazie Armando! Grazie per esserti comportato da amico anche se non ci conosciamo molto” “Non preoccuparti. Tu avresti fatto lo stesso. Ne sono sicuro. Adesso datti da fare. Dai!” Un sorriso e mi sentii più sollevato. Feci un sospiro. Gli chiesi “Si vede che ho pianto?” “No. Non più”. Tornammo in azienda.
Quel week end le cose andarono meglio. Feci le compere, le pulizie, pensai anche al lavoro che avevo trascurato per colpa di una stronza. Non uscii perché ancora non ne avevo voglia ma la notte mi tornarono dei sogni strani. Risentivo ancora una volta l’uccello di Armando sul mio braccio, avvertivo come se fosse reale il suo massaggio sul mio, ripensavo a come mi ero trovato bene nascosto nel nido delle sue braccia e a come sarebbe stato bello che fossimo stati tutti e due nudi e che io gli accarezzassi il randello mentre lui mi accoglieva protettivo. Sborrai nel sonno tutte e due le notti. Cosa mi stava succedendo? Mi vedevo ripensare anche di giorno ad Armando al suo corpo. Era diverso da me. Forse una decina di centimetri più alto, slanciato, senza un filo di grasso, i capelli neri ricci e corti, gli occhi nocciola, la barba tagliata ma che rivelava la presenza di un petto sicuramente villoso. E la domanda era sempre la stessa: cosa mi stava succedendo?
Anche se avevo deciso di riprendere in mano bene il mio lavoro, avevo mollato tutto per una settimana e gli effetti si vedevano. Passai i primi due giorni a cercare di rimettere in moto i miei collaboratori e ci riuscii ma mi ritrovai indietro da morire in quello che dovevo fare io personalmente. Ai “piani alti” erano giunti molti rumors sulla situazione del progetto e mercoledì ci fu una riunione straordinaria di avanzamento lavori. Emerse chiaramente che le attività in ritardo erano solo le mie. C’era tensione al tavolo quando Armando prese la parola “Mi sembra che la situazione sia chiara, l’unico in ritardo è Matteo ma credo che se lui garantisce e riesce a finire quello che era previsto per venerdì entro lunedì mattina non ci sia la necessità di prendere alcun provvedimento straordinario. Diventerà un ritardo che è stato recuperato con extra lavoro. Matteo te la senti di consegnare tutto entro lunedì?” Tutti si girarono verso di me fissandomi. Pensai qualche secondo poi dissi guardando in giro e fissando le persone attorno a me “Sì penso di farcela. Comunque farò di tutto per farcela” L’ultimo che guardai fu Armando il quale mi sostenne con un sorriso e un piccolo gesto di incoraggiamento quasi a dire .
Quando la riunione finì Armando finse di sistemare alcune cose finché non rimanemmo soli, a questo punto mi chiese “Ma come pensi di farcela?” “Non lo so! So che devo provarci a costo di lavorare tutto il week end e di fermarmi tutte le sere fino alle dieci!” “Allora restiamo d’accordo che sabato e domenica ti aiuto. Così siamo più sicuri di farcela” Mi sentii in imbarazzo per l’offerta veramente generosa e al tempo stesso contento di non essere solo in questa avventura. Glielo dissi e sorridendo Armando mi si avvicinò e mettendo una mano poco sopra la curva del sedere mi attirò un po’ verso di lui e mi disse “Dai che insieme ce la faremo! Non ti preoccupare perché troverai sicuramente il modo di sdebitarti. Tu sei un generoso!” Tolse la mano e si avviò verso l’uscita poi ebbe come un ripensamento e fece per tornare. Gli finii addosso mentre il dorso della sua mano toccava il mio cazzo attraverso il tessuto dei pantaloni. Ci scusammo a vicenda ma la sua mano aspettò forse qualche attimo di troppo nei pressi del mio uccello prima di togliere il disturbo. Mi dissi che non dovevo distrarmi e che dovevo solo lavorare.
Lavorai come un cane fino alle dieci di sera, poi a casa a letto e lì cominciavano i problemi perché l’adrenalina della tensione lavorativa non ne voleva sapere di lasciarmi dormire e riposare. Gli unici pensieri che superavano la barriera del lavoro che mancava erano i ricordi dei “toccamenti” con Armando. Non venni ma mi svegliavo con il palo dritto e duro come non so cosa. Arrivò così il venerdì quando presi accordi con Armando per il sabato successivo. Sarebbe venuto con i mezzi verso le 10 perché prima doveva fare un po’ di spese in giro, quindi definimmo le attività che mi interessava facesse e i tempi di completamento. Io invece mi presentai in ufficio alle 8,30; organizzai il centro di lavoro in una saletta riunioni dove potevamo stare tranquilli e assieme a lavorare. Ci demmo dentro duramente, senza quasi un attimo di pausa, ma alla fine, verso le 21, arrivammo a completare tutti i lavori. Ora restava solo l’attività di test ma per quella era sufficiente domenica. Armando mi disse “Cosa ne dici se ci facciamo una pizza veloce perché poi devo prendere l’ultimo bus per ****” “OK, prendiamo una pizza ma da asporto e la mangiamo a casa mia, ti ospito visto che è qui vicino senza che tu debba andare fino a casa che perdi più di mezz’ora” Ci pensò sopra un attimo poi disse “Va bene se non ti creo problemi” Così facemmo.
Finito di mangiare la pizza e di farci un paio di birre a testa, ci mettemmo un attimo a continuare con le chiacchiere sul divano. Mi sentivo bene, la compagnia non era male, si stava parlando di cazzate, quindi la mente si poteva riposare. Ad un certo punto feci una mezza rotazione del collo perché la tensione mi aveva preso le cervicali. Armando non si lasciò sfuggire il gesto e mi disse “Vuoi che ti faccia un massaggio? Me la cavo niente male e tu mi sembri proprio cotto dalla stanchezza! Vedrai non te ne pentirai” Detto questo mi si avvicina, mi sfila la camicia e la canottiera e mi fa stendere sul divano mentre lui resta in piedi di fianco. Afferra i muscoli ai lati del collo e comincia a smuoverli ritmicamente. E’ un dondolio dolce che poco a poco scioglie la tensione, mi sento bene e chiudo gli occhi lasciando che sia Armando a guidarmi. Ma dove? Non mi importa, sono stanco di guidare, sono stanco di pensare, stanco di soffrire, di lottare.
Ora le mani scorrono calde lungo la spina dorsale, accarezzano gli anelli, non appena incontrano un fascio di nervi irrigiditi, indugiano fino a farli sciogliere. “Ti dispiace di girarti?” mi chiede Armando e io muto non gli rispondo ma mi distendo a pancia in su. Prima le sue mani sfregano dolcemente le mie tempie, a lungo, fino a che un sorriso disteso non compare sul mio viso. Ora le sue mani passano al mio petto e non massaggiano più, stanno accarezzandomi, si soffermano vogliose sulle mie tettine, le accolgono avide al loro interno, titillano i capezzolini, le prendono e le stringono a coppa. Questo trattamento, mentre continuo a restare ad occhi chiusi e quindi con i sensi accentuati, mi piace e scopro che una parte del mio corpo che mi ha sempre dato dei problemi, specialmente in costume da bagno, ora è fonte inaspettata di sottile voluttà.
Una mano lascia la mia tettina e scivola giù verso il ventre soffermandosi proprio lì dove cominciano i calzoni. Mi sale un groppo alla gola per la tensione che si va accumulando così quando Armando chiede “Posso?” non ho nemmeno la forza (o la voglia) di opporre un rifiuto e lascio che vada. Tengo gli occhi chiusi perché così non devo vedere e quindi non devo prendere atto che è un uomo che mi sta accarezzando e che mi sta dando un piacere sconosciuto e inaspettato. Tanta dolcezza non ha mai avuto Elisa con me mentre lui … oddio mi sta crescendo l’uccello e lo vedrà! Sì lo vedrà perché ora i miei calzoni vengono tirati giù fino alle caviglie e la mano risalendo indugia lungo le gambe, nell’incavo sotto le ginocchia, all’interno delle cosce, ed una nuova esplosione di sensazioni, e nessuna spiacevole!
Non voglio pensare al fatto che quello che mi sta facendo mi piace anche se è fatto da un maschio. Lascio che la mia mente si abbandoni e si occupi solo di cogliere il piacere da questo volo, alle preoccupazioni alla morale e al resto ci penserò dopo. Ora ho solo voglia di un po’ di pace. Quando infine le mutande vengono fatte scivolare via, il mio coinquilino svetta trionfante come un naufrago che emerge a prendere aria. Non passa un istante che viene ghermito dalla mano vorace di Armando che inizia a segarlo con calma e desiderio, quasi volesse assaporarne ogni contorno, ogni venuzza, ogni asperità. Un’esplosione di caldo mi prende quando sento una calda e umida voragine impossessarsi di lui e cominciare a succhiarlo. La lingua scorre ad accarezzare le vene e ogni centimetro quadrato della mia asta. Mi sento travolgere da una cascata di sensazioni ed emozioni anche contrastanti, e non riesco ad impedirmi di protendere il bacino verso la fonte primaria della mia gioia. La mano ora accarezza le natiche, scorre nel solco, accarezza l’interno delle cosce, allarga le chiappe. Ed infine anche la lingua che fino ad un attimo prima aveva ghermito il mio paletto, ora si getta sul mio buchino e comincia a tormentarlo, leccando, insalivando, tendendo la pelle della rosellina. Non riesco a resistere e socchiudo gli occhi scorgendo che Armando, pur impegnato in questo lavoro di “anilictus”, si sta togliendo i vestiti ed è ormai tutto nudo.
La sua asta svetta dritta partendo da una base di peli neri e ricci, è un attimo e la mia mano, guidata da chi sa quale dio, parte e lo afferra alla base. Anche questa è una scossa di emozioni quando percepisco la sua turgidezza, le sue vene, le sue rotondità. Comincio a segarlo e allora Armando si sistema a cavalcioni in un inizio di 69, ma senza impormi di leccargli il cazzo. Lui si sta dedicando alle mie intimità senza sosta.
Una mano impugna imperiosa il mio randello e lo stringe alla base per poi risalire lentamente fino alla punta, mentre un dito sta girovagando pericolosamente intorno all’ingresso delle mie intimità. Ma io sono affascinato dal piacere sconosciuto che mi da possedere in mano il suo arnese. Mi sento da un lato in preda ad una sensazione di potere perché sto impugnando lo scettro di un altro uomo, dall’altro mi sento preso da un desiderio di sottomettermi al piacere di questo totem di carne. Timidamente lecco la punta, faccio scorrere la lingua lungo il frenulo, mi soffermo sul suo buchino, e una ondata di emozione mi coglie. Sembra quasi che questi gesti che ho appena fatto per la prima volta siano il preludio ad una scoperta inattesa: mi piace e mi sento il viso avvampare come da tempo non succedeva. E allora impugnando l’asta mi lancio ad ingoiare la punta e succhiarla. Una scossa mi attraversa tutto il corpo per il piacere che la novità mi sta dando.
Ma il piacere raddoppia quando sento Armando arcuare la schiena per favorire la leccata, sorpreso dal piacere che gli sto procurando. Proseguo scoprendo sia con la lingua che con la mano la nodosità dello strumento, le vene che innervano l’asta che svetta sopra di me ma che io sto facendo mia. Un nuovo brivido mi coglie all’improvviso alla base della schiena quando il dito che sostava speranzosa all’ingresso del mio buchino decide che è ora di essere accolto con gli onori che gli competono. Gira in tondo ad allargare e stremare l’anello sfinterico, mi entra dentro a godere dell’umidità che le pareti dell’intestino trasmettono, se ne esce per poi rientrare accolto trionfalmente nelle mie intimità.
Questo piacere mi sconvolge perché non l’avevo mai provato, sento una ondata di calore salirmi dal buco del culo e impossessarsi del mio basso ventre, sto dimenticando di leccare il bastone di carne calda che mi balla davanti al naso perché adesso tutti i miei sensi sono concentrati lì alla base delle chiappe dove c’è l’ingresso del mio posteriore. Resto sorpreso quando il dito si fa accompagnare dal suo amichetto a fianco. Mi sembra impossibile che io possa riceverli tutti e due contemporaneamente ma, dopo qualche tentativo davanti all’ingresso di servizio, una contrazione del mio culo li accoglie un po’ di più in profondità e dopo questo li sento forzare l’apertura fino a che entrambi non prendono possesso delle mie viscere.
Armando sta ancora segandomi con l’altra mano ma il piacere “guida” di tutta questa situazione mi viene dal mio didietro. Adesso le due dita stanno procedendo in sincronia con la mano che mi sta segnando, entrano fino alla base ed escono lasciando dentro solo la prima falange, quando sono dentro le sento cercare ed accarezzare quella che immagino essere la prostata e mi sento sciogliere. Mi sto dimenticando completamente dell’uccello di Armando che continuo a impugnare saldamente ma sul quale non sto facendo nessuna azione autonoma. Ma è lui che comunque si sta arrangiando muovendo il culo quasi volesse fottermi nella mano. Mi sento salire l’onda del piacere, dell’orgasmo, della sborra, ma pare quasi che adesso il punto di partenza del piacere non risieda nel mio cazzo ma si trovi dieci centimetri dentro il culo.
Urlo il mio piacere mentre una mano di Armando mi stringe la base dell’uccello e le due dita mi scopano nel didietro e continuano fino a che non ho espulso tutto il succo del mio piacere. Resto qualche istante stremato dalla frenesia dell’orgasmo quando mi arrivano sul viso e sul petto, accompagnati dai rantoli di piacere, gli schizzi del suo appagamento. Passano alcuni minuti in cui lasciamo che le palpitazioni tornino ad un ritmo più naturale, poi Armando si gira stendendosi al mio fianco. Lo guardo, mi sorride, sul suo volto c’è qualche goccia del mio diletto, mi fa “Ti è piaciuto” Sospirando gli sussurro un sì colpevole e allora lui si avvicina con il viso, sempre di più, mi lecca un po’ del suo sperma e poi si avvicina alla mia bocca e prova a baciarmi. Chiudo gli occhi, apro la bocca e ricevo così il dono della sua lingua carica di umori. Gli rispondo e ne nasce così un bacio caldo, umido, anche tenero.
Sono sopraffatto. Cosa mi sta succedendo? Cosa sto facendo? Armando sembra capire cosa sto pensando e mi abbraccia sistemandosi alle mie spalle. Sento il suo ventre contro la mia schiena, il suo uccello sporco ma a riposo che staziona nelle vicinanze delle chiappe, ma ora quello che più mi piace è sentire il suo abbraccio forte e le sue mani che mi accarezzano le tettine e i capezzoli. Dopo qualche minuto avvertiamo la temperatura scendere e decidiamo di fare una doccia veloce assieme. I pudori non servono dopo quanto c’è stato fra noi e eccoci allora nella stretta cabina a toglierci vicendevolmente il frutto del piacere, ma anche questa semplice operazione di igiene si rivela fonte di nuove sensazioni. Avverto che le mani di Armando mi assaporano centimetro per centimetro, vogliono cogliere le rotondità e gustare la sericità della pelle. Io invece sono curioso di percorrere un corpo simile al mio ma anche diverso ed è prevalente in me il piacere della scoperta.
Ci asciughiamo e ci vestiamo per la notte sempre come in presenza di qualcosa che incombe su di noi. Non parliamo molto, ma alla fine Armando ci fa chiudere tutti i corto circuiti che ci hanno scosso finora con un richiamo alla realtà “Svelti a letto perché domani è ancora lunga prima di finire tutto il lavoro”. Ci infiliamo sotto le lenzuola del mio lettone e dopo pochi minuti lui scivola nel sonno del giusto e dell’appagato. Io resto lì, gli occhi sbarrati, attraversato da sentimenti contrastanti e da domande inquietanti. Da un lato sono “schifato” per avere fatto sesso con un altro uomo, dall’altro mi è piaciuto, e questa goduria diventa una ulteriore fonte di preoccupazione Ma l’unica immagine viva di donna che mi compare nella mente è quella di Elisa e la rivedo nuda e gaudente sotto i colpi del suo amante urlare la sua lascivia. E con questa immagine ritorna il blocco allo stomaco e tutto il dolore che credevo di aver accantonato. Riprendo il giro dei miei pensieri e continuò così fino a che le palpebre si chiudono e finalmente Morfeo mi accoglie tra le sue braccia.